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Cena con dolce


Lei era uno spirito libero, selvaggio, e spesso si trovava indispettita dal comportamento chiuso e bigotto delle persone che la circondavano. Specialmente quando faceva battute a sfondo sessuale.
“In effetti è sempre stata una mia fantasia: una bella cena col mio uomo, indossare solo un mini abitino nero e nulla sotto… Arrivare a metà cena e sussurrarglielo all’orecchio…”
Rimasi sbigottito per un istante, non avrei mai creduto che la mia minuta collega avesse potuto mai avere un’idea del genere. Ma come dice il proverbio “l'abito non fa il monaco”, e sicuramente il suo modo di vestirsi a lavoro lasciava posto ad un'altra impressione che era stata appena spazzata via come con un colpo di scopa. Peccato che il discorso venne interrotto bruscamente dall'arrivo di un cliente, e ciò mi rattristò molto, ormai era nata in me una curiosità di scoprire chi avevo davvero di fronte. Con l'arrivo del cliente non ebbi più la possibilità di riprendere il discorso. Ma notai che la mia collega era leggermente cambiata forse si era resa conto di essersi lasciata andare un po’ troppo, e lasciò cadere la cosa. Ma io non volevo, ero curioso, ero avido di sapere. Nel momento in cui stavamo chiudendo l'ufficio immobiliare, lei non parlò più e allora decisi che dovessi essere io a prendere in mano la situazione. “Comunque il discorso non credo fosse finito, siamo stati interrotti”. Per Jane quella frase fu come un luminoso e possente fulmine. “Cos'è un invito ad organizzare e vedermi senza l'abito da lavoro?” Ci fu un istante in cui sentì i suoi occhi addosso e sapevo cosa volesse, e allora perché non farlo. Si poteva provare. Organizzai per il venerdì successivo, dato che il sabato sarei stato a casa dai miei genitori via per le ferie estive.
Prenotai una tavolo in una ristorante del quale eravamo abituali clienti, a qualche chilometro da casa sua.
Certo la strada era scomoda, in mezzo ai boschi e piena di tornanti, ma anche quello era calcolato.

Prima della serata decisi di comprare un vestitino, come avevo detto se mi voleve vedere senza gli abiti da lavoro lo avrei accontentato. Scelsi un vestito nero molto fasciante, cortissimo, con una scollatura non troppo profonda e che lasciava però la schiena nuda.
Ne avevo provati almeno una ventina, fino a trovare quello giusto.
Lo scollo avrebbe scoperto il seno, piccolo ma con una forma perfetta, e mostrato i miei capezzoli, che immaginavo resi turgidi dall’aria condizionata e dall’eccitazione se mi fosse chinata leggermente più del dovuto.
La schiena nuda faceva d’altronde chiaramente capire che non avrei portato il reggiseno. Certo, ora ci sono quelli in silicone adesivi, ma per fortuna non ne avevo bisogno. La natura era stata generosa con me, e tutta l’attività fisica che aveva fatto e facevo contribuiva a rendere stupendo un fisico già naturalmente bello e proporzionato.
La parte più difficile fu scegliere la lunghezza.
Valutai dapprima un lungo abito con uno spacco altissimo che si apriva verso l’inguine, ma poi pensai che sarebbe stato scomodo per la seconda parte del piano.
Sapevo cosa volevo e lo avrei ottenuto: lui non sarebbe riuscito a resistere al punto tale che per l'eccitazione mi avrebbe presa lì, sul cofano della macchina, nella prima stradina appartata. Optai quindi per una soluzione un po’ più drastica. Due dita sotto la linea del pube, il minimo per accavallare le snelle gambe senza mostrare nulla.
L’idea di indossare solo quello mi eccitava.

Ricordai di come qualche anno prima, nelle afose giornate di aria immobile ed umida di una città universitaria, ero solita andare in giro per casa nuda, o al massimo in perizoma. Non mi importava se qualcuno mi guardava, anzi. In fondo mi era sempre piaciuto essere desiderata e guardata con lo sguardo di chi mi avrebbe voluto prendere per ore.
Ora però qualcosa era diverso. Avrei desiderato ancora cogliere gli sguardi dei presenti che si eccitavano chiedendosi che tipo di intimo avessi sotto, e se lo avessi. Ed ancora di più quello dei fortunati che avevano visto cosa realmente avessi, o meglio non avessi, sotto il vestito. Mi piaceva pensare mentre fantasticavano su di me, compiendo atti peccaminosi. Ma l’unico che veramente volevo veramente provocare era quel mio collega quella sera. Lo sguardo voglioso ed eccitato delle persone che mi avrebbero mangiata con gli occhi mi avrebbero reso turgidi i capezzoli, gonfie le labbra e resa calda ed umido il mio frutto, in maniera che quel uomo potesse coglierlo e gustarlo nel modo migliore possibile.
Alla fine un'idea mi sorvolò la mente e decisi di metterla in atto, scelsi di accompagnare all’abito un perizoma in pizzo nero trasparente aperto sull’inguine e con una fila di perline che mi avrebbero accarezzato labbra e clitoride ad ogni movimento.
Il piano prendeva forma. Erano le 19 e il mio collega, l'uomo che avrei fatto eccitare per tutta la sera per essere poi presa da lui ovunque volesse era sotto casa e aspettava già da almeno mezz’ora, ma anche questo faceva parte del mio piano, più si aspetta più si desidera e io volevo che mi desiderasse come non avesse desiderato nessun'altra donna fino a quel momento. Lo aveva fatto aspettare apposta, dicendogli di arrivare mezz’ora prima del necessario.
Volevo cucinarlo per bene. Quando lui mandò il primo WhatsApp chiedendomi a che punto fosse, gli risposi che mi stava truccando: un filo di matita, un po’ di rossetto e del mascara.
Avevo un viso molto carino, non mi piaceva esagerare con quei pasticci.
Dopo dieci minuti, al secondo messaggio dove lui minacciava di andarsene, avevo risposto che stavo per scendere, aggiungendo delle scuse seguite da una foto allo specchio.
Di schiena, i capelli sciolti che mi cadevano fino a sotto le spalle, e le mie natiche perfette incorniciate dai due fili che componevano il dietro del minuscolo tanga.
Appena vide quella foto lui decise che era il caso di aspettare, ed iniziò a fantasticare sul cosa avrebbe potuto farle. Decise che oggi lui l’avrebbe presa da dietro con ancora il tango ancora addosso, e a quel pensiero sentì un movimento di approvazione del suo fedele compagno, che iniziava ad essere interessato dalla cosa. La porta della macchina si aprì, e entrando esordì con uno “Scusa caro, giuro che mi farò perdonare!” accompagnato da un’occhiata piena di sottintesi che, insieme alla visione dell'abito, lo portò alla completa erezione. Notai la cosa, ma feci finta di nulla. Ancora non era il momento. Durante il viaggio parlammo del più e del meno, e lo sguardo di lui spesso cadeva nell’incavo che mi si creava tra le gambe accavallate, col vestito che rimaneva sempre ad un pelo dallo scoprire il tanga.
Accortami di ciò cercai di cambiare spesso posizione, ma grazie al tessuto elasticizzato, lui non riusci mai a veder nulla, mentre cresceva in lui l’istintiva voglia di scoprire ciò che era, per ora, celato.
La frustrazione del non riuscire a scoprire quei segreti veniva però mitigata dal fatto che nel cambiare posizione lei si chinasse leggermente, facendo sapientemente in modo di mostrargli che quella sera non indossava il reggiseno.
Non troppe volte per non far perdere valore alla cosa, ma abbastanza spesso per mantenerlo eccitato.
Arrivati al ristorante lui parcheggiò e scese per primo, poi andò verso l’altra portiera per farmi scendere, pensando che finalmente avrebbe potuto vedere quello che la foto aveva tenuto nascosto. La delusione però fu ancora cocente. Ero brava nel muoversi per far vedere o non vedere ciò che volevo.
Scesi e mi avviai verso l’entrata, con un passo ondeggiante sopra quei lunghi tacchi che alzavano ancora di più il perfetto fondoschiena che sembrava disegnato da un maestro del fumetto erotico.
Lui la seguì, pensando a quanto fosse fortunato averla.
Piccolo, molto elegante ed intimo, con luci soffuse e musica classica in sottofondo, il locale era famoso per una strana scaletta di portate.
Si iniziava sempre da un antipasto, poi un primo, ed infine il dolce.
Nessun secondo. Da qui il nome, “Il secondo mancante”, fine gioco di parole sul concetto di attimi persi o che si potrebbero perdere. Era quasi l’ora del dolce, e avevo passato tutto il tempo a parlare con lui del più e del meno, continuando a fare ammiccamenti ed usando frasi a a doppio senso.
Mangiavo in maniera provocante, e continuavo a spostare il busto in avanti, dando a lui la possibilità di ammirare la mia seconda perfetta, soda, dalla pelle delicata. Come previsto l’aria condizionata e l’eccitazione nel vedere che alcuni avventori continuavano a guardarmi nella mia direzione, lanciando sguardi che mi spogliavano con gli occhi, mi avevano eccitata a tal punto da avere i capezzoli turgidi, e non solo.
Mi sentivo bagnatissima, e decisi che era il momento.
Certo, anche il filo di perline del tanga che mi accarezzava o sfregava le grandi labbra, a seconda di come si muovesse, aveva contribuito.
“Vado in bagno mentre aspetto che ci portino il dessert, caro” e senza aspettare risposta mi avviai verso al porta del bagno.
Entrata nella sala con lo specchio mi sfilai il perizoma ormai fradicio, incurante del fatto che ci fossero due altre ragazze in fila, pensando al fatto che il suo uomo aveva un’erezione da quando era entrata in macchina.
Una la guardò sbigottita, l’altra le fece il gesto del pollice “Il tuo ragazzo è proprio fortunato!”.
“Lo è” risposi! Con il minuscolo intimo nascosto nel palmo della mano tornai al tavolo andando verso di lui.
“Hai fatto presto!” disse.
“Guarda un po’, deve esserti caduto questo!” dissi in tutta risposta, e facendo finta di raccogliere qualcosa, così facendo feci in modo che lui potesse finalmente godere appieno del contenuto della mia scollatura, e regalando una visione indimenticabile all’uomo sulla trentina che sedeva al tavolo dietro di me.
Per poco non si strozzò con il vino che stava bevendo.
Si rialzò e gli misi in mano il perizoma, andando subito a sedermi mentre lui cercava di capire che fosse successo. “Ripensandoci credo sia caduto a me…”
Ormai l’uomo del tavolo affianco aveva seguito tutta la scena, e non riusciva più a togliermi gli occhi di dosso.
Lo aveva notato, sapevo che avrebbe voluto portarmi nel bagno e prendermi in ogni modo possibile, ed ormai gocciolavo dall’eccitazione per quella situazione e soprattutto per lo sguardo del mio uomo quando, ormai conscio della situazione, aveva incrociato il suo.
Lui mosse le labbra, ma senza emetter un suono, pronunciando un chiarissimo quanto inudibile “Ti scoperò fino a quando non mi implorerai di smettere”.
Lei sperava fosse vero.
Mangiarono in fretta il dessert, pagarono e corsero in macchina. Appena partimmo gli slacciai i pantaloni, tirando fuori una delle più vigorose erezioni che avessi mai visto, si chinò in mezzo alle sua gambe (gran cosa il cambio automatico), ed iniziai a leccargli il suo cazzo ormai completamente duro ed eretto.
Lui per risposta mi mise la mano in mezzo alle gambe con l’intenzione di penetrarmi con un dito, ma alla fine optò per tre.
Sussultai mentre lo faceva, dicendo “Sei già fradicia, quanta voglia hai?”
“Zitto e non distrarti” risposi, poi tirai fuori la lingua, per far più spazio nel cavo orale, e glielo presi quasi tutto, fino a sentirlo in gola. Cercavo di non usare mai le mani per queste cose. Le cose si fanno bene o non si fanno, ero solita dire.
Dopo pochi metri lui si infilò in un sentierino di campagna, totalmente impossibilitato a continuare a guidare, venendo copiosamente quando lei, per il contraccolpo della frenata, si ritrovò la sua erezione come mai prima in profondità, arrivando a toccargli lo scroto con la lingua.
Nonostante l’imprevisto, bevvi avidamente il suo amore, e quando ripresi una posizione eretta vidi lo sguardo estasiato e stupito di lui, e dissi “Io sono una brava bambina, e le brave bambine non sputano mai, lo sai… Forse le prossime volte dovresti usare un po’ più di forza, non sempre, ogni tanto… hai visto fino dove posso arrivare?”.
Lui non ce la fece più a trattenersi e le si lanciò addosso, abbassandomi il vestito.
“Non qua!” tuonai.
L'uomo si ritrasse confuso, quasi in colpa, ma vedendo lo sguardo deluso, quasi disperato, aggiunsi con uno sguardo pieno di promesse “Non vorrai mica sporcare la macchina nuova?”, e nel mentre mi feci indietro e scesi dalla vettura.
Feci il giro del cofano e mi mise davanti alla ruota sinistra anteriore, appoggiando le mani al cofano, il vestito che ormai aveva la foggia di una cintura.
Lui scese e mi trovò con le gambe divaricate, con le natiche messe in risalto dalla schiena inarcata, che lo guardavo vogliosa da dietro la spalla destra.
“Ma dalla strada…” iniziò timidamente lui, ma venne interrotto da un secco “Scopami ora, come mi hai promesso!”.
Io era così. Carina, dolce, amorevole. Ma amavo il sesso, perdevo la testa in quei momenti.
Lui obbedì, penetrandomi in un unico, forte e vigoroso momento, arrivandomi in profondità e provocandomi un sussulto ed un gemito.
Mi bloccò tra di lui ed il passaruota, tenendo i lunghi capelli corvino come una briglia con la mano sinistra, ed usando pollice ed indice della destra per tirarmi e strizzarmi il capezzolo.
Ogni volta che entrava deciso riuscivo solo a gemere, ed insieme un rumore come di uno schiaffo provocato dal pube di lui che si scontrava contro il marmo delle mie natiche.
“Più forte, più veloce, più a fondo!” gridavo, e lui aumentava forza e velocità ad ogni movimento, fino a quando egli eruppe in un getto che mi riempì, mentre anche io venivo tremante per la forza delle contrazioni, che lo spinsero fuori.
Lui si accascio sulla ragazza, e dopo pochi istanti usati per riprendere fiato gli sussurrai ”Amore, pesi un pochino, non potresti fare qualche passo indietro?”
Lui si sentì in imbarazzo e fece due passi indietro, quasi cadendo per via dei pantaloni calati. Con grande stupore del ragazzo, Jane si inginocchiò e lo prese nuovamente in bocca, facendo rinvenire l’erezione.
“Ma…” iniziò lui.
Jane per tutta risposta si alzò, si piegò sul cofano, questa volta completamente, e tenendosi le natiche allargate con le mani.
“Antipasto, primo… ora il dolce, tesoro. Manca un buchino… E poi non sei ancora riuscito a farmi implorare di smettere..”
Non se lo fece ripetere.
Durante tutta la scena non smise mai di controllare con la coda dell’occhio verso la strada.
Un rumore improvviso, un’ombra, anche solo la fantasia che qualcuno potesse vederli, mi facevano eccitare come non mai. Ma per sfortuna o forse fortuna, nessuno passò davvero.
Quella sera, dopo essere tornati a casa ci misimo nudi nel letto e ci addormentammo tra mille coccole e dolcezze.
La mattina tolsi le tende della grande porta finestra di camera che dava su un amplio balcone dove ogni tanto prendevo il sole mentre studiavo o ascoltavo musica. La possibilista (anche remota) di venire guardata, di sentirsi desiderata, mi piaceva e mi eccitava, era tempo di smettere di negarlo.
Jane stava preparando la colazione con indosso solo un grembiule.
“Cara, ma quello alla finestra davanti a camera tua, non è il tizio che ieri era nel tavolo vicino al nostro?”
“Uff, non potrò più prendere il sole nuda sul terrazzo? Che palle…” Jane andò a guardare ed osservò il tizio che faceva esercizi nella sala che aveva adibito a palestra, con la finestra davanti alla sua camera da letto.
“Non mi pare.. Oops, guarda che è caduto…” e così dicendo si girò divaricando le gambe dritte e toniche, mimando il prendere qualcosa a terra, e dischiudendo al contempo un fiore succoso e pieno di linfa, bagnato dalla rugiada del mattino.
Quel giorno fecero circa l’equivalente di altre due cene, ma Jane non imploro mai il suo uomo di smettere,perché il bello stava proprio in questo
Fu una giornata stupenda.
Tuttavia la ragazza non mise più le tende in camera sua, né smise di prendere il sole nuda.                                                                      Ma questa è un’altra storia.


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